Notizie 2013

Intervista a Noaz Deshe, regista di White Shadow (Ombra bianca)

Giulia Ghigi Chi era Noaz Deshe prima di diventare un regista?

Noaz Deshe Cerco di stare lontano dagli appellativi e, sebbene alla fine del film tu debba scrivere quale sia stato il tuo ruolo, trovo difficile definirmi un regista. Io mi sento invece come se fossi parte di una storia in cui ho il divertente compito di fare in modo che  tutti i personaggi rimangano sotto la giusta luce. Una sorta di pubblico attivo.

GG Che necessità ti ha spinto a scegliere questa storia per esordire?

ND L’importanza di questa storia così profondamente umana e la sfida di riuscire a fare questo film con pochi mezzi era uno stimolo molto forte.

Forse potrò rispondere a questa domanda solo in futuro. Per ora posso dire che questo progetto è arrivato come qualcosa di urgente, in maniera forte e chiara. Andava fatto e andava fatto ora.  E’ l’Idea che ha dettato le regole e ha fornito una fonte inesauribile di energia per affrontare molte incognite. E questo è stato molto emozionante.

GG Perché hai scelto il cinema come mezzo di espressione artistica?

ND Per me il cinema non è l’unico modo di comunicare idee. Ma se arriva l’occasione che mette insieme tutto ciò che amo, allora è una vera gioia. C’è un desiderio romantico quando si parte per fare un film, speri che questo ti porti fino in fondo a ciò che non conosci, che possa arricchire e sovvertire ciò che fai abitualmente e insegnarti moto su come percepisci l’ambiente che ti sta attorno. Se una storia è in grado di offrirti anche solo un po’ di tutto questo all’interno del tuo percorso, allora devi raccontarla. E’ un modo in cui ci si perde dentro le idee nella loro forma non verbale. Una vacanza dal pensiero quotidiano.

GG Com’è stata l’esperienza del set?

ND Un giorno abbiamo cambiato il nostro programma all’ultimo momento e siamo andati a girare in una location diversa. Nel luogo dove non siamo più andati, c’era un leone che ha ucciso dieci persone. L’esercito gli ha dovuto sparare.  Una notte abbiamo sentito l’artiglieria e abbiamo scoperto che un vecchio deposito di armi militari stava esplodendo. Dei missili sono volati su un aeroporto internazionale e i villaggi circostanti. Uno dei ragazzi che ha recitato nel film, Willy Wilson, si è fatto male e non ha parlato per un mese. La troupe ha contratto la malaria e ha avuto eruzioni cutanee aggressive. Niente è scontato. E non accadrà nulla se non ci passi affianco, illuminato dalla luce giusta. Tutta la troupe si è impegnata moltissimo. Tutti erano in missione, determinati a spronarsi l’un l’altro per farcela. Nessuno ha messo in discussione le ragioni o i modi. È un’energia che abbiamo mantenuto e che ci ha fatto andare avanti.

GG Sulle tristi vicende degli africani albini esistono numerosi documentari. C’è qualcuno  in particolare che ti ha ispirato? Perché hai scelto invece di fare un film di finzione e che differenze ha dato alla storia?

ND Vicky Ntetema, che ho incontrato poi in Tanzania, è un giornalista della BBC che si è interessata molto al commercio di parti del corpo degli albini. Quando ho letto la sua storia, questo mi ha dato il primo stimolo. Tutto quello che ho studiato e letto poi sull’argomento mi ha reso ancor più chiaro che l’unico modo in cui potevo rendere l’esperienza di cosa significa essere in una situazione come quella, sarebbe stato un film di finzione con forti radici nella realtà. La finzione consente di concentrarsi su piccoli dettagli e sintonizzare il racconto sull’essenziale, ma permette anche di essere liberi di sperimentare perché si può danzare attorno alla narrazione.

GG La sceneggiatura è stata scritta molto velocemente, hai pensato subito al personaggio di Alias? E come mai hai scelto un bambino come sguardo portante della storia?

ND Sì, è stato chiamato Alias ​​dal primo momento e la storia principale era molto chiara, perché mi è venuta in mente una notte con una serie di immagini di Alias ​​che correva e che si nascondeva. È stato intitolato White Shadow ed è la cronaca vera di un giovane con una taglia sulla sua testa. Questo mi era molto chiaro, anche se l’idea era ancora astratta. Bisognava fare in modo che una storia come questa avesse radici forti e molto personali. Quindi ero sicuro che l’approccio migliore per me sarebbe stato quello di mostrare l’esperienza di questo ragazzo piuttosto che una sua spiegazione.

Alias ​​nel film è gettato in una nuova realtà. Come spettatore ho voluto essere in grado di mettere insieme i dettagli della trama nell’esatto modo in cui lui avrebbe percepito questa sua nuova realtà.

GG Nella realizzazione del tuo film hai uno stile estremamente personale, per alcuni aspetti vicino al reportage come l’utilizzo della macchina a mano, per altri con un lavoro sul sonoro e sul taglio delle inquadrature molto ricercato. Come mai hai scelto questi due registri?

ND L’unica decisione tecnica consapevole che ho preso era di rendere credibile la storia, che doveva essere attendibile nei dettagli di quella particolare realtà. Non so che cosa significhi, tranne che descrivendo qualcosa che era fuori sincrono, improvvisamente diventava in sincrono. Non è una di quelle cose che trovi nell’etere. È qualcosa di molto soggettivo. Ma comunque basato su reazioni intuitive e pieno di riscontri reali – alcune cose semplicemente sembrano più giuste così. La musica nel film serve per dar sfogo alla condizione mentale e fisica di Alias, è un’eco del suo carattere. Così come per la storia in sé, l’idea era di mantenersi su un terreno sperimentale. Rimanere con i sensi accesi e continuare a farsi domande.