Notizie 2009

Il programma della 24. Settimana Internazionale della Critica

Con una selezione prevalentemente eurocentrica, a testimonianza di fermenti creativi che sembrano provenire dagli angoli più diversi del vecchio continente, ed in particolare dal cinema dei paesi del nord, la 24. Settimana Internazionale della Critica (SIC) offre un panorama variegato di proposte, caratterizzate come di consueto dalla scoperta di talenti autoriali e di linee di tendenza.  Sin dal suo film d’apertura e dall’evento speciale ad esso collegato (organizzato in collaborazione con le Giornate degli Autori) sono rintracciabili segnali di inquietudine, espressioni di un disagio esistenziale, sociale e politico, echi da un futuro non troppo lontano che ammoniscono su un presente pre-apocalittico. In una società globale governata dal culto dell’immagine e narcotizzata dal mito del denaro e del successo, affondata in una cultura del controllo sociale e degradata dai suoi stessi rappresentanti al potere, una metropolitana unisce immensi territori e dalla televisione arrivano inviti all’acquisto di uno shampoo dagli effetti pericolosi.

È Metropia, il folgorante film d’animazione dello svedese Tarik Saleh, che apre la SIC di quest’anno. Un titolo legato per più motivi a quel Videocracy dell’italiano trapiantato in Svezia Erik Gandini, che, c’è da scommettere, smuoverà l’attenzione di stampa e media, oltre che del pubblico, per la sua aspirazione a comprendere lo stato della nostra democrazia di fronte allo strapotere dell’immagine televisiva. Il futuro è qui tra noi, le profezie orwelliane sono già il presente, basta unire le fantasie di Taleh, affidate alle voci di Vincent Gallo e Juliette Lewis, allo sguardo apparentemente distaccato di Gandini sul bestiario televisivo italiano e sulla nostra cultura dell’apparire (il Grande Fratello, le veline, Lele Mora e Fabrizio Corona), cercando di ricostruire la nascita di uno scenario politico-mediatico che ruota attorno alla figura del nostro Presidente del Consiglio attraverso eventi che sembrano già datati nel momento in cui se ne studiano le conseguenze.

C’è poi un tema che attraversa la selezione di opere prime di quest’anno (presentate tutte in prima mondiale), quello dell’illusione, che si manifesta nei paesi europei come nell’estremo oriente, fino ai territori più infuocati dell’Islam integralista, quelli dell’Iran in sommossa (al quale dedichiamo un doppio, scioccante sguardo). L’illusione di un cambiamento personale, esistenziale o politico, in un mondo ferito e sofferente, ma pronto al riscatto: a partire dall’Italia e dalla Roma multietnica descritta nel bellissimo film d’esordio di Claudio Noce, che in Good Morning Aman ondeggia la sua macchina da presa e il suo sguardo attorno all’ineluttabile incontro fra due esseri perduti, un ragazzo somalo che si illude, appunto, di cambiare la propria esistenza e un ex pugile ferito dalla vita, che si serve del ragazzo per riscattare la propria. Un esordio prezioso, che testimonia la presenza di energie vitali nel nostro cinema pur in uno stato di crisi permanente.

Un perdersi nella città che è speculare a quello di Alzbeta, la giovane protagonista di Lištičky (Volpi), una ragazza slovacca che con i suoi movimenti inquieti in una non troppo ospitale Irlanda, nasconde il profondo bisogno e l’illusione di ritrovare un rapporto compromesso con la sorella.

Traiettorie inizialmente sempre uguali, invece, dominate da un ordine solo apparente che nasconde il caos delle proprie derive esistenziali, in Domaine del francese Patric Chiha, in cui una affascinante Béatrice Dalle, matematica di mezza età, determina i desideri, le scelte ancora indefinite e la sessualità del nipote diciassettenne, coinvolgendolo e coinvolgendosi illusoriamente fino al distacco inevitabile, complice la caduta nell’alcolismo e la progressiva accettazione del tempo che passa.

Tempo della vita che si fa fatica ad accettare, corpi che invecchiano ma non rinunciano a cercare sfoghi nel desiderio e conseguenti tentativi, illusori anche qui, ma razionali, di armonizzare il caos dei sentimenti, nell’altro film svedese, questo in competizione, Det enda rationella (Una soluzione razionale) di Jörgen Bergmark; dove si assiste allla messa in scena post bergmaniana di più matrimoni, con la disinvoltura sessuale e l’ironia di sguardo dello sceneggiatore di Kitchen Stories, qui alla sua prima regia.

Difficile trovare una soluzione nel caos sociale e politico di una Tehran contemporanea mai descritta con tale intensità e violenza come nel film di Nader T. Homayoun,   Tehroun: siamo di fronte a una delle prime visioni dall’inferno proveniente da una città che in questi giorni sta esplodendo nel dissenso. Un film che farà discutere, per il suo coraggio e per la sua inedita rappresentazione di un sottobosco criminale e di un degrado sociale composto di mendicanti reclutati da un’associazione a delinquere che organizza un traffico di neonati, ladri che irrompono nelle feste dei giovani ricchi, prostitute che esercitano nei parchi pubblici, pur con il tradizionale velo, e autorità religiose che si comportano come i peggiori istituti bancari invece di aiutare la gente in difficoltà. Un pugno nello stomaco, insomma.

Dall’Iran alla Russia contemporanea il passo è breve: anche qui funzionari statali corrotti, una società che va più veloce di quanto la sua storia gli permetta: in Kakraki (Come gli scampi), un politico di mezza etá ricco e apparentemente felice (sembra Alberto Sordi in una delle tante commedie di costume nella nostra Italia del boom) va in crisi e si illude (anche lui) di cambiare la propria vita, non solo armonizzando le sue incapacità alla modernità che lo circonda (imparare il cinese, imparare a nuotare), ma anche innamorandosi, perché no, languidamente e in maniera sempre più vulnerabile di una splendida ragazza. In un crescendo di situazioni drammatiche gogoliane che lo portano in carcere e poi alla morte, senza speranza. Una commedia, che poi diventa racconto sentimentale e poi dramma. Una rivelazione sicura.

L’amore, l’illusione della riconoscibilità dei propri percorsi, in uno dei film più sorprendenti di tutta la selezione, Café Noir, esordio del coreano già critico cinematografico Jung Sung-il. Poco più di tre ore richieste al pubblico, con promessa di soddisfazione del cuore, dell’animo, dell’intelletto, per un film che mette in scena due capolavori della letteratura mondiale, I dolori del giovane Werther di Goethe e Le notti bianche di Dostoevskij, in un raffinatissimo gioco di seduzioni e citazioni cinematografiche, avvolte in un disegno complessivo che unisce due parti distinte in una sola sinfonia dei sentimenti. Un amore a prima vista, per noi selezionatori.

Per finire, un ritorno in Iran con un film che pare provenire dalla lezione di Kiarostami, pur superandola in una direzione che utilizza la metafora al servizio della comprensione della realtà: in Chaleh (La buca), che chiude fuori concorso la nostra SIC 2009, c’è tutto il contrasto fra vecchio e nuovo, tra integralismi e aspirazione alla modernità, nella vicenda di un anziano meccanico che sperimenterà sulla propria pelle il suo stesso cinismo della povertà.