Notizie 2012

Intervista a Tom Heene, regista di Welcome Home

Chi era Tom Heene prima di diventare un regista?

Ho studiato cinema alla Film School di Bruxelles, quindi penso di essere sempre stato un regista, anche se a quel tempo preferivo operare in maniera più sperimentale. Una volta lasciato la scuola ho iniziato a lavorare per il cinema e la televisione, tutte le volte come production manager o aiuto regista. Otto anni fa, a seguito di un’esperienza eccessivamente stressante per un importante progetto cinematografico, ho deciso di ritornare ai miei lavori  personali: prima di tutto facendo sperimentazione con i mezzi di comunicazione digitali (progetti che tutt’ora porto avanti e che continuerò a fare in futuro) e poi tornando al cinema narrativo.

Che necessità ti ha spinto a scegliere questa storia per il tuo film?

Welcome Home si svolge nella mia città natale, Bruxelles. Il film tratta del suo passato e del presente, dei suoi residenti nuovi e di vecchia data, di sentimenti di amore e odio nei suoi confronti. Bruxelles è il mondo nel quale sono diventato adulto e che mi ha dato l’ispirazione per creare delle storie. E’anche il posto dove ho imparato a guardare il cinema. Mi sembra molto logico utilizzare questo ambiente naturale e le sue storie reali e di finzione come l’ispirazione per i miei film.

Com’è stato cimentarsi con un lungometraggio?

Com’è stata l’esperienza del set? (il momento più difficile e quello più gratificante?)

Il primo giorno di riprese ero pieno di belle emozioni e di stress positivo. Essendo supportato da una crew con esperienza, il lavoro sul set è andato molto bene. Ho più di dieci anni di esperienza nell’industria del cinema per cui sapevo quando le cose funzionavano e quale fosse la responsabilità di ognuno. Io sono l’iniziatore e la guida, e sono responsabile nel portare il film verso un buon esito, ma ho molto rispetto per tutti coloro che hanno preso parte in quella che è la creazione collettiva di un film. Non ricordo alcun momento difficile durante le riprese, ma ricordo bene di aver avuto bisogno di molta pazienza durante la post produzione.  Per parecchie ragioni ci sono voluti due anni per concludere il film ma alla fine è stato chiaramente il tempo stesso che ci ha aiutato a finire il montaggio, il mix e il lavoro sul colore in modo sereno.

Al momento, hai qualche idea per dei progetti futuri?

Sto attualmente sviluppando una installazione sui nuovi mezzi di comunicazione chiamata DarkMatr.  In questo lavoro cerco di sposare le possibilità dei mezzi digitali (interattivi) con un sensazione “immersiva” tipica del cinema. Mi sono recentemente reso conto che l’installazione può in qualche modo essere ricollegata all’uso degli archivi, della scrittura, della poesia e della riproduzione della proprietà intellettuale così come era proposto in certi film degli anni ’80 e ’90.

Oltre alla creazione di questa installazione, sto portando avanti un lungometraggio che dovrebbe essere nuovamente collocato nell’ambiente “Bruxelles-europeo”. Mi piacerebbe fare anche una serie televisiva per la programmazione notturna che avesse la stessa arena. E, per finire, penso di sviluppare un documentario per il web o una fiction.

Faccio anche parte di un piccolo collettivo e l’anno prossimo speriamo di promuovere qualche artista visivo e concettuale durante speciali “esibizioni private”.

I tuoi attori protagonisti vengono entrambi dal teatro (Kurt Vandendriessche ha lavorato spesso con Ian Fabre e Manah Depaw è una regista teatrale) ed entrambi hanno esperienze da regista: com'è stato lavorare con due attori che provengono dal linguaggio teatrale e che si considerano anch'essi autori?

Pensavo che trovare gli attori per i due ruoli principali sarebbe stato difficile. Avevo paura che pochi buoni attori sarebbero stati disponibili a spingersi così lontano. Avevo visto Manah in parecchie esibizioni teatrali ed ero impressionato dalla sua presenza fisica e dalla sua schiettezza. L’incontro con Kurt è stato una pura coincidenza ma la notte che abbiamo visto il video dei casting ho capito che era lui che cercavo. Abbiamo solamente dovuto mettere gli attori insieme per verificare che i loro “atomi” potessero lavorare insieme, il che è successo.

I lavori teatrali di Kurt e Manah sono tutto tranne che convenzionali, sicuramente non classici, il collegamento con un cinema più “naturalistico” è stato messo in atto facilmente. Entrambi avevano parecchia esperienza nell’usare la loro presenza fisica, che era necessaria per il ruolo. Infine, essendo anch’essi registi, erano veramente impegnati anche intellettualmente, e questo ha permesso loro di adattare i dialoghi e di portarli ad un livello superiore. All’inizio delle riprese abbiamo tutti trovato  il proprio tratto distintivo ma durante le scene più importanti Manah e Kurt mi hanno dato quel prezioso regalo che si chiama “fiducia”.