Chi era Ali Aydın prima di diventare un regista?
Quando ero uno studente universitario, ho partecipato a diversi workshop incentrati su differenti aspetti dell’arte. Una di queste era il cinema. Non avevo l’intenzione di diventare un regista o uno sceneggiatore. Mi è capitato che girare video sperimentali e creare installazioni diventasse il mio scopo: essenzialmente, ero intenzionato a lavorare nel campo dell’arte contemporanea. La libertà che offre la video arte nel territorio della sperimentazione mi ha sempre attratto. In ogni caso, ho completamente cambiato idea quando ho cominciato ad occuparmi di lavori cinematografici e di sceneggiatura. Il cinema è senza dubbio un campo più produttivo: la scenografia, le luci, la macchina da presa, il colore, la sceneggiatura e gli attori… la ricchezza del cinema è assolutamente affascinante. Quando ho avuto l’opportunità di lavorare come assistente in un film durante i miei studi universitari, ho accettato e iniziato a lavorare senza esitazione. Per il periodo in cui ho fatto da assistente, ho mantenuto il desiderio di fare un mio film. In alcuni momenti certi sentimenti e umori mutevoli ti fanno crollare..La sensazione che non avrei mai potuto essere in grado di raccontare delle storie o di fare i film che sognavo era davvero irritante. Al giorno d’oggi provo la forte emozione di scrivere il mio secondo film.
Che necessità ti ha spinto a scegliere questa storia per il tuo film?
Ero decisamente coinvolto dalla profondità e dal senso di turbamento che mi evoca il concetto di conscio e dei segni profondi che ha lasciato nella mia memoria. La parte cosciente agisce in maniera differente per ogni essere umano, alcuni ne sono sconfitti, altri la vincono, o alcuni altri sono l’esempio della mancanza di consapevolezza. Mentre noi osserviamo l’intenzione di qualcun altro, in realtà facciamo i conti con noi stessi. Sono una persona agisce con coscienza o no? Non lo so, o forse non lo voglio sapere. Tutto quello che so è che l’unica cosa che mi ha fatto scrivere questa storia è la mia coscienza.
Com’è stato cimentarsi con un lungometraggio?
Il mio periodo come assistente è stato molto importante per me, perché non avevo mai girato neanche un cortometraggio prima. Dopo che il mio progetto ha ricevuto il supporto del Ministero della Cultura, ho iniziato una preparazione a lungo termine. Ho iniziato il lavoro di ricerca degli attori dopo che ho stabilito esattamente l’ambientazione. Ho perfino deciso gli angoli di ripresa con il direttore della fotografia prima di iniziare le riprese. Abbiamo anche fatto molte prove con gli attori prima di girare. Tutti gli attori hanno ricevuto ogni dettaglio possibile sui loro personaggi e questo ha offerto la possibilità di provare nuove cose anche dopo aver trovato ciò che volevamo. Ho capito quanto importante fosse la preparazione dopo che le riprese sono iniziate. Un altro aspetto difficile nel girare un lungometraggio è il fatto di non poter girare le scene secondo il loro ordine nella sceneggiatura. Un giorno giri la prima sequenza e quello successivo devi girare la scena finale. In certi momenti anche mantenere l’integrità della sceneggiatura e proteggere la concentrazione degli attori hanno fatto parte del lato difficile del processo.
Com’è stata l’esperienza del set? (il momento più difficile e quello più gratificante?)
Realizzare una scena scritta nella sceneggiatura e filmarla in modo che rimanga fedele a come è stata scritta è probabilmente il momento più emozionante del fare cinema. C’era una lunga sequenza in Küf che costituisce la spina dorsale dell’intera storia. Questa scena era stata concepita in nove pagine nella sceneggiatura mentre per le riprese la scena sarebbe dovuta durare undici minuti con il ritmo che abbiamo previsto dagli attori. Nel programma delle riprese , abbiamo posizionato questa scena all’ultimo giorno perché avevamo pianificato di utilizzare il resto del negativo che avevamo per questa scena. Ciò che avevo in mente fin dal momento in cui scrivevo la sceneggiatura era di girare questa sequenza in un’unica ripresa. Questa era la sequenza che determinava il mio punto di vista come regista sulla storia. Per questa sequenza, abbiamo preparato una bobina di negativo 35 mm di 11 minuti . Non volevo che gli attori perdessero la concentrazione a causa del cambio di rullo. Abbiamo iniziato a girare dopo una prova generale.
Nondimeno in un modo o nell’altro non ho potuto ottenere quello che volevo e la pellicola era diventata da buttare. Dopo qualche altra prova andata male abbiamo discusso con tutti gli attori su come sarebbe potuta essere la scena. Ricordo di avere detto che la tensione fra due personaggi sarebbe dovuta essere più evidente. Non avevo sentito così tanta pressione dall’inizio del nostro programma di riprese. Dopo l’ultima discussioni abbiamo nuovamente iniziato a girare. E finalmente il risultato è stato esattamente quello che avevo desiderato. Nonostante avessi voluto che la scena fosse un unico piano sequenza abbiamo girato delle inquadrature ulteriori, ma durante il montaggio ho praticamente lasciato l’intera sequenza come un'unica inquadratura. Alla fine la sequenza portante della sceneggiatura aveva funzionato perfettamente.
Al momento, hai qualche idea per dei progetti futuri?
Ho un progetto a cui mi sto dedicando attualmente e di cui sto scrivendo la sceneggiatura. Sto cercando di fare un’osservazione sulla violenza con la quale gli uomini hanno paura di confrontarsi e alla quale sono inclini. Sto scrivendo una sceneggiatura che interroghi su come noi giustifichiamo la violenza.
Il film è ispirato alla protesta delle donne del sabato. Perché invece il protagonista principale è un uomo?
La ragione per la quale ho raccontato la storia di un padre al posto di una madre è dovuta al fatto che volevo porre una distanza tra il pubblico e il film. Voglio dire che se il personaggio principale fosse stato una madre, le persone avrebbero avuto uno sguardo più vicino, addirittura forse compassione. Tuttavia come società noi manteniamo una distanza dalle Madri del Sabato. Nessuno stabilisce un legame profondo con loro; non potremmo…perché non siamo passati per ciò che hanno passato loro. Noi non stiamo sopportando tutto quel dolore e i nostri cari sono tutti intorno a noi. Ma per loro non è così.. Nella società turca è facile affezionarsi a una madre ma non è necessariamente così facile stabilire questo legame con un padre. Perché questo è il ruolo che la società affibbia agli uomini:un padre deve essere protettivo, deve essere quello che è sicuro e solido. Questa posizione pone involontariamente una distanza tra il padre e i figli. Nondimeno ci sono padri, fratelli e bambini tra le Madri del Sabato. Due figli di un padre chiamato Osman Efeoglu sono stati fatti sparire dalla polizia nel 1992 e nel 1994. Nessuno è passato attraverso ciò che Osman Efeoglu ha vissuto. Entrambi i suoi figli gli sono stati presi, prima Ayhan poi Ali… E nel 1992 Osman Efeoglu era tenuto sotto custodia mentre era uno studente alla mia università. Questa è un’altra ragione per cui il mio personaggio è un padre; questa è la storia di Osman Efeoglu che non ha ricevuto notizie dei suoi figli per anni.
Hai impiegato 7 anni per scrivere la sceneggiatura. Come mai così tanto tempo? L’idea originale è cambiata durante il tempo?
La ragione più importante per la quale la sceneggiatura di Küf è durata 7 anni è stata la mia incertezza. Non riuscivo a decidere di quale parte della storia avrei dovuto parlare per lungo tempo. Non riuscivo ad essere sicuro nemmeno se avrei dovuto parlare delle persone che erano scomparse o di quelle dimenticate. In questo modo ho iniziato a fare ricerche sulle Madri del Sabato e ho iniziato a leggere le loro storie. Ricordo di non essere stato in grado di scrivere una sola riga per lungo tempo dopo la mia fase di ricerca perché è stato impossibile non rimanere profondamente commosso da quello che avevano passato. Quando ho deciso di continuare la sceneggiatura stavo lavorando come assistente in una serie tv. Ho iniziato a scrivere senza fermarmi tutte le notti per 6-7 mesi e quando ho finito, era il 2010.
Per cui ho impiegato 7 anni per scrivere la sceneggiatura che ho iniziato nel 2003 prendendo qualche annotazione. Lungo questo processo sono rimasto fedele al concetto originario. Sebbene abbia cercato di apporre qualche cambiamento, mi sono sempre ritrovato al punto di partenza. Infatti quello che volevo scrivere era davvero semplice: la ragione per la quale un uomo sopravvive alla morte del proprio figlio è il figlio stesso, alla fine. Il mio obbiettivo era quello di raccontare la lotta di un uomo che è solo o alienato dagli altri, dal sistema, dallo stato e non mi sono mai allontanato da questo scopo.
30.08 — 09.09