Chi era Natalia Beristain prima di diventare una regista?
Film e teatro sono sempre stati presenti nella mia vita, e intendo letteralmente. Provengo da una famiglia con una lunga tradizione nella recitazione: i miei genitori, fratelli, nonni e bisnonni sono o erano tutti attori. Per cui credo che per me sia stato naturale andare in quella direzione; solo che nel mio caso sapevo fin dalla tenera età che il mio reale interesse era stare dietro la macchina da presa o dietro il palcoscenico.
Ora è ormai da un po’ che sto lavorando nel cinema. Come prima cosa ho studiato cinema, poi ho iniziato a lavorare come supervisore alla sceneggiatura, e alla fine ho trovato un lavoro interessante per me e per il mio amore speciale per gli attori, ovvero quello del direttore del casting.
Che necessità ti ha spinto a scegliere questa storia per esordire?
No quiero dormir sola è un film molto personale. Anche se senza dubbio ci sono dei pezzi di finzione la storia è inspirata al mio rapporto con mia nonna Dolores. Per cui nonostante la difficoltà di parlare e ricreare momenti personali della mia vita, mi è sembrato anche il modo più onesto e naturale di trattare parecchi temi che veramente mi ossessionano: cosa significa diventare vecchi? Dove si trova la vecchiaia: nella pelle o nel cuore?
Com’è stato cimentarsi per la prima volta con un lungometraggio?
Dato che è un film con un budget decisamente ristretto rassomigliava alle esperienze che ho fatto alla scuola di cinema, e mi sono sentita a mio agio: così tranne la preoccupazione di essere capace a seguire tutto un film per un lungo periodo – a cui non ero preparata come regista anche nonostante avessi lavorati alle produzioni di molti lungometraggio – è andata semplicemente bene.
Com’è stata l’esperienza del set? (momento più gratificante e quello più difficile?)
Guardandomi indietro, probabilmente direi che tutta l’esperienza è stata soddisfacente. Essere capace di creare un ambiente lavorativo buono, amichevole e produttivo per tutti quelli che hanno lavorato al film probabilmente è stato ciò che è stato più significativo per me.
Dall’altro lato, il momento più difficile, almeno per me, è stato probabilmente una delle scene più importanti del film, quella nella quale le due attrici devono accettare e mettere in mostra il loro corpo nudo, senza che venissero utilizzati trucco e né filtri. Noi tutti sapevamo che sarebbe stata bellissima ed estremamente preziosa per la narrazione, ma è stato duro portarla a termine.
Nel tuo film che ruolo dai al corpo femminile e come hai deciso di rappresentarlo stilisticamente?
Credo che il corpo possa essere l’unica certezza, la superficie più concreta su cui possiamo contare. Così con questa chiave in mente io e il direttore della fotografia abbiamo deciso di esplorare la storia del film. Una delle preoccupazioni principali mentre giravamo il film era che passasse l’idea che invecchiare fosse perdere la propria bellezza; così al fine di rendere chiaro questo punto, abbiamo deciso di andare estremamente vicino ai loro corpi, di scoprirli attraverso l’amorevole sguardo dell’altro.
Al momento, hai qualche idea per dei progetti futuri?
Ho appena iniziato a lavorare su una nuova sceneggiatura con un buon collega, Hugo Alfredo Hinojosa – uno dei commediografi più interessanti in Messico. Non posso parlarne molto perché è ancora ad uno stadio iniziale, ma il tema generale ha a che fare con il contesto sociale violento del Messico odierno.
L'anno scorso sei venuta al Festival come produttrice. Com'è tornare nel ruolo di regista?
E’ una sensazione straordinaria. Non potrei essere più emozionata. Ci fa sentire come se tutto il duro lavoro sta venendo ricompensato e che non importa realmente se il tuo film è stato prodotto con un budget molto ristretto, l’importante è l’avere una buona storia e l’essere onesti con i temi che si stanno esplorando; è così la storia può arrivare alla gente.
30.08 — 09.09